Una vergogna. L'Inter scesa in campo domenica sera allo stadio Olimpico contro la Lazio ha offeso pesantemente chi tifa per questa squadra, chiedendo a lor signori non di vincere a tutti i costi, ma di provare a farlo. Sempre e comunque. E invece al cospetto di una formazione organizzata e vogliosa, quella guidata da Simone Inzaghi, i non pervenuti in maglia nerazzurra hanno fatto girare dall'altra parte anche i gabbiani che erano venuti a curiosare in mezzo al campo. Non esistono motivazioni tecniche a spiegare lo scempio, nonostante Roberto Mancini abbia tirato in ballo anche la mancanza di qualità al momento della finalizzazione dell'azione. La finalizzazione di un'azione non va mai a buon fine quando al momento di iniziare la manovra non si abbia chiaro in testa cosa vuoi e devi andare a fare, ossia segnare.

Domenica abbiamo assistito a tocchetti stucchevoli, a giravolte inutili, a pallonetti irritanti, invece di cercare il tiro violento verso la porta avversaria. Perché questo? Perché ormai il terzo posto era pura utopia e il quarto in qualche modo blindato grazie agli affanni della Fiorentina? Sembra proprio che fosse così e allora proprio non ci siamo. In novanta minuti più i tre di recupero sono stati buttati a mare i progressi e le prospettive che in parte la stagione aveva indicato, visto che alla vigilia di Lazio-Inter si parlava di bicchiere mezzo pieno rispetto alle ultime stagioni anonime. Le cosiddette grandi squadre sono realmente grandi quando vogliono vincere sempre, a maggior ragione quando non ci sono punti pesanti in palio. In questi casi si consolida una certa mentalità, quella che ti porta ad arrivare sul pallone prima dell'avversario, quella che fa sentire il peso della maglia a chi, sulla carta, è inferiore.

Ma la carta non determina ne classifica ne storia, la realtà la svela quasi sempre il campo e sul campo bisognerebbe sempre scendere consci della fortuna di essere un calciatore di serie A che però, oltre a godersi il ricco conto in banca, ha doveri morali verso un pubblico. E il pubblico dell'Inter vince ogni anno scudetto e Champions League per presenza, attaccamento e pazienza. Anche quando critica e attacca aspramente giocatori, allenatore e società, non vede l'ora che la Beneamata torni di nuovo a recitare al fine di gioire ed emozionarsi per una vittoria o per una prestazione importante. Sarà così anche sabato per l'ultima al Meazza contro l'Empoli. Parecchi elementi che vestono attualmente la maglia nerazzurra questa cosa non l'hanno ancora capita, la voglia di mangiarsi erba e pallone emerge solo quando proprio non se ne può fare a meno. Contro la Lazio perché dannarsi l'anima, la stagione sta volgendo al termine, gli Europei e la Copa America sono dietro l'angolo, meglio non rischiare contrattempi prima delle sospirate vacanze, no? Se un calciatore ragiona in questo modo, può avere anche talento, può essere anche uno da servizio in prima pagina sui giornali, ma non potrà mai essere annoverato nella schiera dei vincenti.

Avete visto qualche giocatore bianconero mentalmente in vacanza in Juventus-Carpi? No. C'era pietà sportiva per la piccola squadra emiliana che le sta tentando tutte per raggiungere una storica salvezza? No. Risultato: 2-0 a favore di chi avesse tutto il diritto di giocare con la testa un po' pesante per lo champagne stappato dopo il quinto scudetto consecutivo, ultimo dei quali vinto dopo averti anche preso in giro con la falsa partenza. Lo so, quando si inizia a prendere loro come esempio, all'interista fa male. Fa male anche a chi scrive, ma comincio ad essere stufo di questa presunta superiorità senza averne i numeri. Conoscere il nemico per combatterlo, dice qualcuno. E allora si inizi a capire come si fa. Magari ora si penserà: ma come, tu che li ha sempre difesi, tu che hai scritto sempre di squadra in crescita, di allenatore senza colpe, ora butti tutto nel cesso? No. Sono ancora convinto che questa squadra abbia dei valori e che l'allenatore sia quello giusto per tornare a pensare in grande. La società è quella che la realtà impone. Con un Presidente che non può far sentire la sua presenza quotidiana, vivendo a migliaia di chilometri di distanza, ma che da quando si è insediato cerca con ogni mezzo di trasmettere positività. Il problema è recepire in un certo modo i messaggi e gli input che il club manda ai suoi dipendenti. Probabilmente i pur bravi e gloriosi Zanetti e Stankovic, non bastano a trasmettere quotidianamente a tutti cosa voglia dire giocare nell'Inter.

Ci vorrebbe forse una terza figura storica, sempre presente agli allenamenti, che non li molli un secondo nemmeno durante il riscaldamento pre-partita. Non perché i giocatori siano dei robot da guidare spingendo un bottone, ma per costruire finalmente una squadra che giochi sempre per un'idea e un obiettivo. Quello di portare l'Inter alla vittoria. Poi potremo discutere dei movimenti di Icardi, del ruolo di Medel e della posizione di Perisic. Ma solo dopo aver cucito addosso a loro, o a chi per loro, la voglia di vincere per l'Inter. E mentre scrivo questo, sento sempre più forte il rumore della festa del Leicester di Ranieri. Sì, è vero, hanno vinto perché è stata una favola. Ma l'hanno voluta scrivere.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 04 maggio 2016 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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