Sicché termina l’euro-avventura nerazzurra nell’anno del pallone 2016/2017. Credo, a memoria d’uomo, una delle pagine più nere, tristi e per certi aspetti ridicole della storia di un club ultracentenario, carica di successi e trofei mondiali. Un ringraziamento particolare, ovvio, va agli interpreti di un cammino assai entusiasmante, impreziosito da epici scontri con avversari impossibili; Southampton, Sparta Praga ed Hapoel Beer Sheva sono da sempre colossi del calcio riconosciuti. Roba che se ti capitano ai sorteggi inizi a preoccuparti e non dormi per quindici giorni di fila. Pensa se a questi, dall’urna, avessero estratto il Barcellona di Guardiola o il Chelsea di Ancelotti; anni di terapia… Lasciamo stare. Le tre avversarie di un girone quanto mai semplice, da superare in carrozza, hanno dimostrato, rispetto ai nostri eroi, di avere alcune delle caratteristiche fondamentali per poter calcare i campi di calcio a qualsiasi livello; rispetto per la maglia ed i tifosi, agonismo, impegno. Perché la partita del giovedì sera, forse i signori agli ordini di Stefano Pioli non lo avevano capito – nel caso qualcuno glielo avrebbe dovuto spiegare – non era come le amichevoli che si disputavano anni fa, contro la squadra del paese, giusto per allenarsi. No. Qui c’era (e c’è) una dignità da difendere, colori da portare in giro per l’Europa, milioni di tifosi sparsi per il mondo (ricordare a Icardi e compagni che l’Internazionale è all’ottavo posto per numero di supporters sul pianeta Terra) a cui rendere conto. Per non parlare di quelli che, magari facendo sacrifici non indifferenti, li seguono settimanalmente in ogni dove. Tralasciando il populismo più sfrenato, altrimenti ci sarebbero da scrivere vagonate di considerazioni. Non gradevoli. Giovedì sera, spiace ma trovo delittuoso non tornare su una delle prestazioni più inadeguate a cui mi sia capitato di assistere da che seguo il pallone, si è consumato l’episodio finale di una saga orribile, senza il lieto fine, mai rispettata né onorata. Quasi come se, al netto di ingaggi multi milionari, il compitino da svolgere infrasettimanalmente fosse un peso; si sa, il giovedì è serata di movida a Milano. E lasciamo stare pure ‘sta cosa, che ci infileremmo in altri gineprai (si, un po’ come la storia di Mancini, De Boer, Thohir, Bolingbroke, Kia e chi più ne ha più ne metta). Il dato reale, inoppugnabile, parla di un cammino fatto da cinque dicansi cinque partite; quattro sconfitte, un successo del tutto immeritato, dieci gol subiti e cinque realizzati. Roba da mettersi le mani nei capelli. Alla faccia del brand Inter da sviluppare per portare soldi e sponsor. Così Stefano Pioli, che non ha un caratterino mieloso, seppure sia entrato dai cancelli della Pinetina con l’espressione sorridente del bravo boy-scout, raccontano che si sia incazzato di brutto; e ha fatto bene, mi vien da dire. Ma il problema è che prima di lui si erano incazzati, in ordine puramente temporale, Frank De Boer e Roberto Mancini; sempre con gli stessi, perché quelli nuovi nella lista UEFA non ci sono, eccezion fatta per Candreva. Così, a naso, senza risolvere nulla; tanto basta un sonno ristoratore, la mattina dopo tutti ad allenarsi, poi c’è la partita di campionato che se la vinci taciti i tifosi e chissenefrega. Questo è il messaggio che passa; magari sbagliato, magari male interpretato, ma questo è. Inquietante. Inutile stare ad analizzare il problema Inter; inutile stare a dire degli errori dilettantistici dell’estate passata, del mercato fatto spendendo 75 milioni di euro per acquistare un ottima mezzala, all’occorrenza mediano o esterno di destra – ma potreste invertire i ruoli ed il risultato non cambierebbe -, ed una seconda punta presentata in pompa magna, con tanto di conferenza stampa mondiale, utilizzata fin qui 10 minuti; inutile ricordare che cedere alla Wanda di turno ha portato malcontento in seno al gruppo, dove ciascuno starebbe disperatamente cercando aumenti a proprio dire dovuti. La squadra è male assemblata, il centrocampo inefficace, la difesa mette i brividi ogni volta che un qualunque avversario arriva sulla nostra trequarti. Non era difficile da capire, visto lo scorso campionato; ahimè la priorità della nuova proprietà, mi auguro un errore dovuto ad una comprensibile disinformazione sul calcio nostrano, è stata dare retta ai consigli di Kia, notoriamente tifoso nerazzurro (un po’ come Ibra) e conoscitore di tattiche pallonare. Ma, ripeto, ci sta di sbagliare. Suning si è appena insediato ai vertici, una fase di ambientamento è fisiologica; ecco, diciamo che visto l’ultimo mercato io inizierei a dare più mano libera a chi il calcio di casa nostra lo conosce e, magari, non costruisce la squadra partendo dalle figurine, giusto per fare colpo. Che poi, in un secondo tempo, a pagare sono i tifosi; costretti, loro malgrado, ad assistere impotenti a spettacoli di bassissimo profilo. Per adesso gli Oscar (anche no, grazie) o i James Rodriguez li metterei in un cantuccio; e darei un’occhiata in mezzo e dietro, che il panico dilaga in quelle zone. Alcuni hanno parlato di presunzione dei giocatori; però, scusate, la domanda mi sorge spontanea. Ma quale presunzione? Perché, a memoria, credo che Pioli da solo abbia vinto quanto tutta la rosa dell’Inter messa insieme. E quindi? Pancia piena? E di cosa? Insomma, un tourbillon di questioni ci sarebbero da porre ai giocatori nerazzurri, giusto per capire cosa c’è da fare e dove intervenire. A me sembra che manchi completamente il concetto di squadra, intesa come insieme di elementi che corrono e si sacrificano sul campo per i compagni. Qui l’idea è che ciascuno si faccia bellamente i fatti propri; tanto la Società ha assunto una linea tendente al buonismo, della serie cacciamo l’allenatore di turno che non capisce i propri calciatori. Quindi tutto è lecito; perfino scendere in campo come nel secondo tempo in Israele. Che poi, alla fine, verrà mandato via Stefano Pioli, reo non si saprà mai bene di cosa, per prendere il Marcelino di turno, tanto caro non si capisce bene a chi. Che all’interno della squadra ci sia qualcuno scontento mi pare ovvio, succede dappertutto e non è una prerogativa nerazzurra; ma se questo stato d’animo finisce per influenzare il resto della truppa, allora va estirpato con decisione. Zhang sarà a Milano per la partita di domani sera con la Fiorentina; vorrei tanto che il Presidente avesse un colloquio schietto e franco con tutta la rosa, i tecnici, i magazzinieri ed i dirigenti. Perché o si è dalla parte dell’Inter, o meglio accomodarsi fuori, la presenza non è gradita. Basta prendere un paio di preparatori atletici seri, chiamare i procuratori degli ammutinati facendo presente che i loro assistiti non rientrano più nel progetto, toglierli dalla rosa della prima squadra e continuare a farli lavorare, come è giusto che sia, in attesa di una nuova sistemazione. Non piace? Non è un problema. A me, da tifoso, non piacciono un sacco di cose… Bisogna tornare all’asilo; se ai ragazzini dai libertà e questi la sfruttano nei modi peggiori, allora è nel diritto-dovere di un buon genitore porre dei limiti, prima che le cose precipitino definitivamente. Ed io non credo, per quanto l’Inter sia mal costruita, che la rosa attuale valga il decimo posto. O che a fine novembre ci si possa, col nome che portiamo, rassegnare ad una siffatta mediocrità. Mazza e panelle fanno i figli belli, panelle senza mazze fanno i figli pazzi. Amatela, sempre; #soloperlamaglia. Buona domenica a Voi!
Sezione: Editoriale / Data: Dom 27 novembre 2016 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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