Tempo un mese, e il castello è crollato giù. Sembrava stabile, poggiato sulle fondamenta solide della razionalità e dello spirito di gruppo che Pioli aveva riportato alla Pinetina dopo che i mulini a vento dell'era De Boer avevano provveduto a spazzarli via. Un mese fa, l'Inter era reduce dal roboante successo sull'Atalanta e si trovava a due giorni dalla trasferta di Torino; Pioli, in conferenza stampa, dichiarava che una vittoria in terra granata avrebbe ancora concesso ai nerazzurri di inseguire la chimera Champions League. Un mese fa, l'Inter era -6 dal Napoli, e Pioli godeva di tutt'altra credibilità.

LE COLPE - Il disfacimento a cui la classifica nerazzurra e un po' tutto l'ambiente interista è andato incontro da Torino in poi non può non travolgere Stefano Pioli. Quella lucidità che gli era universalmente riconosciuta come qualità principale e in qualche modo distintiva è parsa lentamente svanire: i limiti del tecnico emiliano si sono evidenziati soprattutto nella gestione della partita, con cambi e modifiche tattiche che spesso finiscono per sortire l'effetto opposto a quello auspicato. Hanno fatto discutere anche le scelte iniziali, con l'inversione di quella tendenza che vedeva Pioli fare sempre la scelta giusta nell'ormai ricorrente ballottaggio tra Banega e Joao Mario: forse soltanto per la gara di ieri, a più di un mese dal 7-1 all'Atalanta, si può dire che il tecnico nerazzurro ci abbia visto giusto nel selezionare il suo trequartista. Infine, come non imputare anche all'allenatore l'indubbio calo di concentrazione e piglio che il gruppo ha evidenziato non appena si è spento il fioco lumicino di una rimonta in classifica?

I RISCHI -  Eppure, non sarà facile. Non è più tempo di guardare al cambio di allenatore come a un momento positivo, un passaggio carico di aspettative e grondante sogni e promesse; se la si pensasse in tal modo, vorrebbe dire che le innumerevoli lezioni offerte dall'Inter in questo senso son rimaste lettera morta. Riniziare è dura, per tutti. C'è, ad esempio, da impostare un nuovo rapporto con un gruppo che sarà sempre più composto di prime donne, se è vero che Suning ne innalzerà il tasso tecnico, portando a Milano giocatori sicuramente forti, auspicabilmente grintosi, ma inevitabilmente pieni di sé, come è normale e giusto che sia per un fuoriclasse. Occorre poi tenere conto dei crescenti ostacoli che sembrano opporsi all'arrivo di una delle due prime scelte: Conte, infatti, è sempre più orientato a prolungare la sua permanenza londinese, e perché mai dovrebbe rinunciarci; per Simeone, dal canto suo, Javier Zanetti dovrebbe architettare un'azione diplomatica in salsa argentina degna della guerra fredda: probabile che tenterà, ma la riuscita è complicata. Esiste, dunque, il rischio di veder sbarcare a Milano l'ennesimo profeta esotico, magari grazie all'aiuto di quei cattivi consiglieri che parevano essersi defilati nel corso della complicata stagione nerazzurra. Ecco, perseverare sarebbe diabolico. Non crediamo che un tecnico straniero non sia in grado di allenare in Serie A, né accordiamo a Pioli il pregio dell'italianità: è indispensabile, però, scegliere per tempo, remare all'unisono in una sola direzione, ottemperare alle logiche di un progetto prima ancora che ai capricci del nuovo tecnico. Perché non vorremmo trovarci a scrivere ancora questo articolo all'alba di novembre.

Sezione: Copertina / Data: Dom 16 aprile 2017 alle 14:10
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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