Punta il dito contro la timidezza Luciano Spalletti da Certaldo, e come dargli torto. È inaccettabile a molti, a buon diritto, che ragazzi arrivati a vestire una delle maglie più importanti d'Italia credano inevitabile la ricerca della giocata più semplice, l'esitazione invece del rischio, finendo manco a dirlo per prodursi in passaggi corti e smozzicati che il più delle volte scivolano addosso agli avversari come acqua, quando non li lanciano direttamente in porta. Si tratta di un male ormai annoso, più volte denunciato e altrettanto spesso deleterio per le sorti nerazzurre. Facciamoci caso: i ripetuti crolli verticali, ormai un marchio di fabbrica che l'Inter tira sempre fuori a un certo punto della stagione, sono talvolta ricondotti al fisico, in altri casi alla sfortuna, ma hanno sempre in sé la traccia di uno sgretolamento mentale, una sorta di ansia da prestazione che è inizialmente acuita dal malcontento del pubblico, prima di diventare troppo spesso una vera e propria disaffezione per la maglia che si indossa. Questi giocatori, poi, vanno via, e altrove ritrovano magicamente il sorriso e il piacere di accarezzare un pallone, quando non diventano addirittura elementi di grinta e di garra, loro che in nerazzurro difficilmente cercavano un dribbling o un'apertura per il terrore di sbagliare.

Con la Roma, l'Inter ha cantato la sua solita mezza messa, quella cui ci ha abituato nell'ultimo periodo, e neanche le è riuscito sempre di rimettere in piedi la baracca come ha saputo fare ieri sera. Una prova a tratti discreta, sì, con la reazione mentale e tecnica che è arrivata in quegli ultimi 20' in cui i nerazzurri, evidentemente, avvertono quest'anno una particolare confidenza. Prima, peraltro, non è che l'Inter avesse trascorso il suo match in balia dei giallorossi, che dal canto loro hanno rinunciato a ogni velleità offensiva dopo il rocambolesco vantaggio e si sono dimostrati anch'essi ben lontani da un'accettabile condizione psico-fisica. Un minimo di imbarazzo tecnico nei confronti di un avversario temibile, non fosse altro per i polpacci di Nainggolan e Strootman, si è avvertito prima dello svarione di Santon, uno di quelli cui la testa, appunto, suggerisce ogni tanto cose illogiche e sconsigliabili alla vista da ogni cardiologo che si rispetti. Il terzino classe '91 ha più di un problema con l'ansia da prestazione di cui sopra. Quello che ha tentato ieri è talmente abnorme che la lettura del gesto non è realizzabile con sicurezza neanche a posteriori: non dovrebbe trattarsi di assurdo tentativo di gestione del pallone, per farlo ricadere sui propri piedi, perché il tocco è stato più forte e deciso. Santon ha forse provato ad allungarla a Miranda, che correva all'impazzata nel tentativo di recuperare la posizione, o allo stesso Handanovic, lontanissimo; peccato che dietro il terzino emiliano ci fosse El Shaarawy, peccato che Santon lo sapesse, perché non poteva non 'sentirlo', peccato che questa 'giocata' -eufemismo, se le virgolette non bastassero- risulti completamente inspiegabile non solo nel suo esito tremendo, ma proprio nel concetto di partenza. È ansia, dicevamo, ma in alcuni somiglia ormai al panico.

Gagliardini, e siamo a due. Il centrocampista di Dalmine sembrava restio al pur minimo cedimento soltanto un anno fa; non appena ha scoperto la doccia fredda dell'errore, ha iniziato a inanellarne tanti, troppi, proprio per il timore di farne. Spiegamoci meglio: a Gagliardini piace tentare aperture, ad esempio, ma è chiaro come sia assai lontano da Pirlo: perciò, ne sbaglia molte. Ieri sera ne ha rischiata una, destinazione Perisic, che è finita abbondantemente in fallo laterale. Stop. Dopo il primo sbaglio, Gagliardini si è ben guardato dal riprovarci, attanagliato dal terrore di cadere di nuovo: ecco dunque i suoi passaggi flebili, poco convinti, quasi a liberarsi della sfera come di un'oggetto ostile e sgradito perché convinto che, a uno come lui, il pallone tra i piedi possa solo portare rogne. Ecco lo spirito finito nel mirino di Spalletti. Se giochi così, con quella bestia sulle spalle che ti spaventa non appena osi qualcosa di diverso, finisci per far più danni della grandine. Spalletti lo sa bene, aveva Nainggolan fino all'anno scorso e ieri l'ha rivisto da vicino: sa bene che la determinazione e la convinzione dei propri mezzi fanno mezzo giocatore, se non di più, e consentirono a un Gattuso di alzare coppe a ripetizione mentre il talentuosissimo Dalmat consumava in giro per i campi di Ligue 1 la sua vecchia fama da giovane fenomeno.

Ben vengano, dunque, personalità alla Cancelo, tanto sicuro dei suoi piedi da scegliere sempre la giocata meno banale anche dopo un girone speso tra panchina e infermeria. Ben venga la leggera boria di Icardi, e perfino il menefreghismo a volte eccessivo con cui si presentano in campo i due croati. Per questa ragione, tutta la vita un Brozovic lamentoso e un po' faccia da schiaffi rispetto a un abulico Joao Mario, meglio un Perisic a corrente alternata di un Candreva sempre più monocorde. Non si dica che a quest'Inter servirebbero undici Nainggolan, ché non è detto che la grinta o il temperamento si manifestino uguali per tutti, e in ogni caso di Nainggolan non può permettersene neanche uno. Si può, però, iniziare a pensare che esistono piazze diverse e contesti diversi. Se ti trema la mano, non puoi fare il chirurgo, ma magari sarai il miglior medico di base del mondo, e farai una carriera anche migliore di Barnard. Ecco: sarà San Siro, sarà la pressione giustamente esercitata da una piazza che ha fame di tornare al vertice, sarà il peso della maglia e della stampa, che è ancora più esigente dei tifosi: fatto sta che l'Inter non è per tutti. Questo mantra, che si ripete da anni in merito al fatto tecnico e ai tanti giocatori passati da queste parti che si son rivelati non all'altezza, andrebbe finalmente applicato anche alla testa. Ci son profili che altrove saranno senz'altro campioni, ma qui non lo diventerebbero mai. È un difetto dell'ambiente? Forse, ma l'ambiente ormai non si può cambiare, non senza vittorie che lo rasserenino un po'. Al gran bazar del mercato, con l'auspicio di poter tirare fuori in futuro un portafogli un po' più gonfio, servirà dunque tener conto anche di questo dato evidente. Sono anni che è evidente: si traggano le ovvie conclusioni.

Sezione: Copertina / Data: Lun 22 gennaio 2018 alle 08:15
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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