Basterebbe guardare in alto, a quei 47mila ottimisti che di lunedì sera si abbandonano per amore a una disperata rincorsa all'Europa che conta. Invece, ecco un'altra prova irritante, di quelle che vedono sgretolarsi al primo soffio di vento un'architettura –per la verità un po' raffazzonata- che all'intervallo aveva faticosamente fruttato il vantaggio. Bastano 5' della ripresa perché la Sampdoria riesca a pareggiare i conti con il tap-in di Schick, tenuto colpevolmente in gioco dallo spensierato trotterellare di Brozovic sull'out di destra; non fosse mai successo. Dopo il gol doriano, infatti, l'Inter si allunga a dismisura ma, come una molla oramai logora, non riesce praticamente mai a tornare compatta in fase di non possesso; la seconda ingenuità del croato, che sulla punizione di Linetty allarga il braccio manco fosse un istruttore di aquagym, regala a Quagliarella l'occasione di punire dal dischetto l'appannamento dell'Inter. Di nuovo, però, c'è che che stavolta i nerazzurri non hanno trovato lucidità nemmeno nel voltarsi verso il proprio allenatore.

DEPOSITO BAGAGLI - È chiaro come la credibilità di Pioli non possa uscire indenne dalla serata di ieri. Anche i suoi più ostinati detrattori hanno sempre dovuto riconoscere al tecnico emiliano una lucidità di fondo, che in qualche modo restituiva il profilo di un uomo stabile e rassicurante. Un normalizzatore, si diceva, di quelli non istrionici, ma pur sempre capace di collocare ogni giocatore al posto giusto, senza ricorrere a spericolate peripezie mentali che complicassero ulteriormente la vita a un gruppo eterogeneo e già di per sé restio a farsi plasmare in una squadra di calcio. Ebbene, se l'Inter è anche lo specchio del suo allenatore, occorrerà sottolineare che questa lucidità è venuta a mancare, proprio a partire dalla panchina e dalle scelte. Il ripescaggio di Brozovic nei due davanti alla difesa va a premiare un giocatore famoso per la sua discontinuità, che si è presentato in campo immerso in un allarmante straniamento: mai in partita, deconcentrato a dir poco nei due episodi decisivi, il croato sembra aver già pronta la valigia, e lì dentro deve essere finita per sbaglio anche la sua voglia agonistica. L'ingresso di Joao Mario per Perisic a pochi minuti dal termine poteva invece essere un'occasione per tirare via Brozo dalla sua Caporetto; altrimenti, piuttosto che quel cambio quasi conservativo, dentro un attaccante e giù sull'acceleratore.

IL DESIDERIO - Sia chiaro, quest'Inter non pecca di voglia. Nella prima frazione, i nerazzurri hanno marciato con veemenza, meritandosi ai punti il gol di vantaggio nonostante i due legni dei doriani; pure dopo lo choc iniziale della ripresa, la squadra di Pioli ha tirato fuori tutto il suo desiderio di vincere la partita. Il problema, semmai, risiede proprio nel metodo, e nella confusione che avviluppa il proponimento di far bene: come Amleto secondo Lacan, l'Inter è afflitta da psicosi e narcisismi, cosicché il suo desiderio finisce inevitabilmente per perdersi nei meandri di una prova confusionaria. Ad oggi, appare sempre più probabile che, se Pioli finirà per dissipare il credito da lucido normalizzatore, il suo ciclo nerazzurro possa davvero andare incontro a una fine prematura. Al suo posto, che sia Conte o il defilato Simeone, ecco un uomo di grinta e slancio, un condottiero insomma, in armonia con il filone più vincente della storia interista. Perché no, probabilmente è la via giusta, o quantomeno la risposta migliore alla mancanza di mordente che pare fluttuare nello spogliatoio. Peccato, però. Una squadra di prestigio e di livello dovrebbe riuscire nel suo scopo anche senza un cane da guardia: basterebbe guardare in alto.

Sezione: Copertina / Data: Mar 04 aprile 2017 alle 08:15
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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