Lo suggeriva il boato con cui San Siro ha accompagnato ognuno dei suoi (pochi) ingressi in campo, quello stesso boato sulla fiducia che anche ieri è partito dal settore ospiti del Dall'Ara mentre il ragazzotto col 96 si apprestava a entrare in campo sullo 0-0. Dovevamo aspettarcelo, insomma, che quando Gabriel Barbosa avesse messo a segno la sua prima rete in maglia nerazzurra, giustificando finalmente quel nomignolo che suonava un po' ottimista, un po' parodico, non si sarebbe parlato d'altro; giusto così, in fondo. Torneremo a premiarlo, come merita: c'è qualcos'altro che non può essere sacrificato sull'altare della sintesi. Il primo squillo di Gabigol, infatti, corona un'azione niente male, che ha il forte sapore della rivincita: ad architettarla, guarda un po', sono gli outsider, quei nerazzurri che per un motivo o per un altro sono finiti nella penombra, ai margini del progetto o nel mirino dei tifosi. Anche a loro va una menzione: accanto al giovane brasiliano, anche loro questa notte avranno dormito meglio del solito.

CHI HA TEMPO PER UN TANGO? - Pensate a Nainggolan, quindi a Banega: ecco, soltanto uno dei due è il prototipo del nuovo trequartista all'italiana. Dieci anni fa, più o meno, il calcio ha dichiarato finita l'epoca dei classici numeri dieci: un po' per legge di natura, un po' per colpa di un castrante tatticismo, chi ha i colpi è finito all'ala, lasciando la trequarti ai corridori, meglio se dotati di muscoli e cattiveria agonistica. Nel paese della tattica, questa tendenza è divenuta pressoché la regola: in principio fu Perrotta, quindi Boateng e, a salire, Vidal e il Ninja giallorosso. Il dieci classico, si sa, è ormai un animale estinto e, quando il Tanguito Banega si è affacciato alla soglia della Serie A, il suo ritmo compassato è presto sembrato romanticamente fuori luogo. L'argentino viene progressivamente accantonato; quest'Inter, meno rodata del Siviglia di Emery, non può permettersi la sua flemma. Ecco perché sono ancor più preziosi quei passi di danza con cui Banega oggi ha mandato fuori orbita due avversari prima di servire il pallone perfetto a D'Ambrosio: ci riportano indietro con la memoria, pur coscienti che al giorno d'oggi tanta eleganza è spesso un lusso imperdonabile.

TRE E MEZZO - Proprio come ha fatto il pallone, giungiamo al secondo protagonista dell'azione decisiva, quel Danilo D'Ambrosio colpevole di ogni male: spesso indicato come il simbolo della mediocre fase in cui l'Inter ha versato negli ultimi anni, il numero 33 nerazzurro ci ha spesso messo del suo con qualche svirgolata di troppo e diverse diagonali sbagliate. Unica dote, si diceva, corsa e abnegazione. L'ormai celeberrima "cura Pioli" pare aver giovato anche al terzino napoletano: la nuova difesa "a tre e mezzo" lo vede giocare diversi metri più avanti rispetto alla zona critica, quella in cui in passato il terzino ha fatto i suoi pasticci. Da esterno a tutto campo, D'Ambrosio può dare sfogo alle sue doti aerobiche, che gli consentono di essere più brillante al momento del cross anche rispetto al suo alter ego Candreva. L'assist di oggi arriva quando si era già tornati a quattro, ma è l'opera di un corridore instancabile, incapace di perdere lucidità anche dopo uno sprint a una manciata di secondi dal termine.

PER FORTUNA O PER TALENTO - Come promesso, il tema di giornata. D'altra parte, Gabigol se lo merita: qui la realtà ha superato la fantasia, e l'evento tanto atteso ha finito per verificarsi né più né meno come cadono i finali delle fiabe. In principio, al "c'era una volta", c'è sempre un contadino sognante che sogna di essere re, oppure un calciatore brasiliano che è stato accolto a Milano con gli onori dovuti a un capo di stato in visita diplomatica; poi, però, la matassa si imbroglia, il contadino ambizioso viene chiuso nella torre e il nostro calciatore gira ai margini, finendo al centro di una curiosità morbosa e asfissiante che è prossima allo sberleffo. Ormai persino i suoi cari abbandonano il protagonista: nel nostro caso, è toccato a Massimo Moratti lasciarsi andare a qualche apprezzamento di troppo nei confronti dell'altro Gabriel, "quello bravo", quello che nelle prime apparizioni col Manchester City impressiona, lascia il segno e di riflesso getta ulteriori ombre sul groppone del nostro eroe. Infine, quando il cielo è più ostile che mai, il gran finale: il protagonista salva i compagni in difficoltà e legittima la sua appartenenza al gran mondo. Che sia già diventato re? Non si sa, il calcio prevede un domani che le fiabe esauriscono nel "poi vissero felici e contenti". Ma fermatevi un attimo, guardate la foto e immaginate se l'avesse sbagliato. Nel 2005, Woody Allen aprì il suo celeberrimo Match Point con l'altrettanto sdoganato monologo sulla fortuna: la pallina da tennis balla sul nastro della rete, mentre la voce del protagonista recita: "Chi disse 'Preferisco avere fortuna che talento', percepì l'essenza della vita". Non fosse entrata quella palla, mentre scrivo Gabigol sarebbe ormai seppellito da una montagna di scherno, forse irrimediabilmente perduto alla causa nerazzurra; ma era al posto giusto, l'ha messa e potrà andare avanti. Per fortuna o per talento, Gabriel da oggi è più leggero. 

Sezione: Copertina / Data: Lun 20 febbraio 2017 alle 08:30
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
vedi letture
Print