Giovedì sera torniamo in campo, a San Siro. Non possiamo neppure per un attimo immaginare una partita fragile, di contenimento della disfatta, o di semplice e onesta gara di commiato dall’Europa League. Il calcolo mentale che tutti, onestamente, stiamo facendo, non appartiene alla nostra storia, a quei 105 anni che abbiamo appena “festeggiato” (si fa per dire). Certo, a Genova contro la Sampdoria ci giochiamo molte cose, forse troppe. Ma il miglior modo per arrivare ad affrontare Icardi (sic!) e soci è uno solo: aver dimostrato, giovedì sera, che noi siamo l’Inter. Nessun calcolo, nessun ripiego nel pensare la formazione che andrà a tentare l’impresa. Io mi auguro che Stramaccioni si riprenda il suo orgoglio, la sua spensieratezza iniziale, che usi queste ore senza pensare al proprio destino sulla panchina, ma solamente al miglior modo possibile per evitare di prendere gol nei primi minuti, e invece di farne almeno due nel primo tempo.

Le notizie di queste ore, zeppe di indiscrezioni interessate (che rivelano in ogni caso un malessere interno), di autentiche bufale destabilizzanti, si rivelano credibili (e purtroppo assai prese in considerazione da molti tifosi) solo perché siamo l’Inter, ossia una società che continua ad avere con la comunicazione un rapporto assai curioso. Subiamo ogni giorno una tempesta mediatica (tutt’altro che casuale) che abbatterebbe il Barcellona e il Real Madrid, un mix di ignoranza e di superficialità calcistica che culmina nei falsi scoop, nelle anticipazioni sugli allenatori e sugli assetti societari, come se in tutti questi anni non avessimo ancora metabolizzato il fatto che un presidente come Massimo Moratti prende le decisioni storiche in modalità assai diverse da queste, e sempre mantenendo uno stile, direi una cifra umana, completamente differente da ciò che viene scritto adesso.

Mettere sotto pressione i giocatori, lo staff tecnico e dirigenziale, non solo è legittimo, ma è doveroso. Il vero problema è come, contemporaneamente, ribadire che siamo una sola squadra, una sola società. Non dobbiamo farci del male da soli. Mai come adesso, a metà del guado, fra l’Inter del Triplete e “l’Isola dei Saranno famosi”, c’è bisogno di abbassare la tensione e di renderla elemento positivo, capace di portare al massimo risultato sul campo, che è l’unica moneta sonante che ci interessa.
Tecnicamente la partita di giovedì è in larga misura compromessa dall’infelice prova di Londra, e soprattutto dal non essere riusciti, nonostante due clamorose occasioni, a realizzare quel gol che avrebbe cambiato il pronostico. E’ dunque assai difficile che l’impresa si realizzi. Difficile, ma tutt’altro che impossibile. Occorrono velocità negli inserimenti centrali, gioco più intenso sulle fasce, intensità a centro campo, concentrazione e grande quantità di fuoco al bersaglio. Mi sorprende, in queste ultime partite, l’incertezza con la quale molti dei nostri potenziali realizzatori vanno al tiro, anzi, non ci vanno. Questo atteggiamento è certo sintomo di paura di sbagliare. Ma quando Kovacic, domenica sera, ha ciabattato alto sopra la traversa, la curva lo ha applaudito, come è giusto. Perché è stato fra i pochi a prendersi la responsabilità del tiro verso la porta. Vorrei che giovedì segnasse, da questo punto di vista, un momento di svolta, di recupero di incoscienza, di freschezza mentale. Nulla da perdere, tutto da vincere. Così si deve entrare in campo. E lottare. E il pubblico dovrà fare la sua parte, rinunciando allo sport preferito, ossia il fischio più veloce al capro espiatorio di turno.

Spero che giovedì sera i tacchetti siano a posto, a proposito di dettagli incredibili. Domenica contro il Bologna tutti scivolavano come pattinatori alle prime armi, e trovo questo particolare quasi avvilente, non degno della professionalità di chi deve preparare al meglio la squadra, per di più sul nostro terreno di gioco. Spero che nelle prime tre azioni del primo tempo si giochi con la grinta di una finale di Champions, senza l’ansia di concludere, ma con lucida grinta, senza sbagliare passaggi elementari, senza cercare soluzioni impossibili. Ce la possiamo fare, essendo semplicemente “normali”.
Provo a immaginare per un attimo con quale spirito andremmo a Genova, dopo aver schiantato il Tottenham. Penso che nessuno sentirebbe la stanchezza, tutti avrebbero solo una stramaledetta voglia di giocare subito, e di vincere. Non ci sono alternative. Dobbiamo assolutamente fare il Massimo…
Provare per credere…

Sezione: CALCI E PAROLE / Data: Mar 12 marzo 2013 alle 18:21
Autore: Franco Bomprezzi
vedi letture
Print