Otto partite senza vittoria. Mai nei 109 anni di gloriosa storia dell’Inter si è verificato un bilancio così gramo. Roba da far piangere, se ancora ci fosse interesse nelle vicende di questa squadra in una stagione allucinante sotto tutti i punti di vista. Contro il Sassuolo è andato in scena l’ennesimo fallimento di campo, e l’aspetto peggiore è che in tanti lo avevano previsto. Paradossalmente, lo spettacolo più credibile lo ha offerto la Curva Nord, che in passato di m… ne ha pestate ma stavolta ha agito con civiltà e ironia, tra striscioni come sempre fin troppo eloquenti e l’apice del rompete le righe dopo pochi minuti di inizio della partita. Tutti via, a mangiare o a vedere la partita in tv in qualche locale, se proprio non si riesce a farne a meno. Ma quel gesto vale più di mille striscioni, di mille cori, di mille fischi. È l’emblema del punto di vista di una gran fetta di tifosi interisti, stanchi di assistere a prestazioni che puntualmente mettono in discussione i valori che il club e questi colori hanno rappresentato durante la loro storia. Questi stessi tifosi non se lo meritano.
Certo, nessuno di alcuna squadra meriterebbe un simile supplizio, ma soprattutto chi ha dimostrato di amare davvero l’Inter, riempiendo costantemente il Meazza e primeggiando in Italia da questo punto di vista. Già, meglio di chi si vanta di avere lo stadio sempre pieno e non riesce, per limiti di capienza, a far meglio di un banale Inter-Sampdoria di lunedì sera. Negli ultimi decenni questa squadra/società ha vissuto periodi bui, di profonda contestazione. Però la sensazione è che oggi ci si trovi davvero al punto più basso, persino peggio del 1994 quando la salvezza arrivò solo a una giornata dalla fine del campionato, impreziosita comunque da una Coppa Uefa. Tipico di una squadra che ha la pazzia nel proprio DNA. Però otto partite senza vittorie, di cui sei sconfitte non hanno nulla a che fare con la pazzia. Hanno a che fare con tanti altri ingredienti che rendono amaro il piatto offerto nel weekend. E per fortuna mancano ancora solo due giornate di campionato prima di liberarsi da questa agonia.
Il punto di non ritorno è stato non solo toccato, ma letteralmente afferrato, accarezzato, stretto con decisione. Non è corretto parlare di vergogna, sono ben altre le nefandezze di cui ci si dovrebbe vergognare. Ma di imbarazzo sì, perché è inevitabile, anche per il tifoso nerazzurro più fedele, faticare a guardare in faccia la realtà senza sentirsi profondamente a disagio. La sensazione è che a questo punto non serva neanche cercare soluzioni, perché i buoi sono scappati da tempo e chiudere la stalla sarebbe inutile. Non che di soluzioni ne siano state trovate nel frattempo, salvo il classico allontanamento dell’allenatore di turno. Decisione presa direttamente dalla proprietà cinese, che evidentemente qualche nozione di calcio italico sta iniziando ad apprenderla.
Spiace davvero per Stefano Pioli, inneggiato dalla Curva Nord prima che questa abbandonasse lo stadio. Se lo merita, perché a prescindere dai risultati il suo lavoro lo ha svolto, mettendo tutto, pregi e difetti, sul tavolo. Un cambio tecnico che ovviamente non ha sortito alcun effetto, alla luce dell’atteggiamento di chi è sceso in campo contro il Sassuolo. Ergo, questo gruppo ha palesemente giocato contro Frank de Boer auspicandone il licenziamento, e in parte lo ha fatto anche contro Pioli quando ha capito che ormai il suo ruolo valeva quanto il due di coppe con briscola bastoni. Come nel primo caso, professionalità pari a zero da parte dei giocatori. E l’ennesima conferma che sostituire il cuoco, quando gli ingredienti che maneggia non sono di qualità, non porta a benefici.
Non è un discorso di qualità tecnica, c’è chi in questa rosa ne può vantare (pochi a dir la verità). Piuttosto il nodo gordiano è lo spessore umano, la professionalità, che senza necessariamente andare a valutare caso per caso a questo gruppo manca pesantemente. Più di una sensazione è l’evidenza: non gliene frega proprio nulla. Un mare di parole vuote, ripetitive, banali e poi gli scempi sul rettangolo di gioco, dove non si può mentire. Perché si può vincere o perdere, ma dando tutto. I tifosi accettano anche la sconfitta, quando si fa il possibile per centrare la vittoria, quando il valore dei calciatori o il loro stato di forma non permette di andare oltre l’ostacolo. Ma quanto meno di avvicinarcisi, di provare a superarlo, non di limitarsi passivamente a guardarlo.
Ecco, la passività di questi giocatori è inquietante, al punto tale che sembra ormai persino inutile puntare il dito contro di loro. Ma va fatto, perché non si può accettare questa offesa alla maglia che indossano, che per molti di loro varrà solo un lauto stipendio, ma che per milioni di persone che nella vita fanno altro e non vedranno mai certe cifre nel proprio conto in banca significa molto. Per alcuni tutto. Diverse recenti dichiarazioni, una volte emersi palesemente gli altarini, si sono smarcate dalla loro vuota prevedibilità e hanno seminato gravissimi indizi. Quando Danilo D’Ambrosio e Gary Medel ammettono che la squadra ha mollato dopo aver perso l’obiettivo Champions League; quando Marco Andreolli invita i compagni a dare di più per rispettare la loro professionalità e soprattutto chi scende in campo al loro fianco; quando Stefano Vecchi sottolinea come senza dare il massimo in settimana durante gli allenamenti in partita le conseguenze si vedono; quando Eder dice ai compagni che vogliono cambiare aria di farsi avanti con la società, tutto diventa più chiaro. E le conferme abbondano.
Lo spogliatoio è spaccato, alcuni giocatori sono in vacanza con la testa; altri vivono la sconfitta contro Crotone, Sampdoria e Sassuolo come una cena in compagnia di persone poco gradevoli e nulla più; altri ancora pensano al rinnovo del contratto, alle vacanze, o alle offerte che stanno arrivando. In pochi pensano al bene dell’Inter, al peso della maglia che indossano giorno dopo giorno, alle conseguenze di queste prestazioni agli occhi dei tifosi, alle prese per il culo da parte di chi sostiene lidi molto più felici. L’Inter è un traguardo, è il massimo per un calciatore. Non una mucca da spremere, non un passatempo, non un semplice impiego lavorativo. A questo spogliatoio mancano leader positivi, non quelli che si spacciano per tali solo perché vanno davanti alle telecamere e mettono la faccia. Troppo facile, non c’è nulla da perdere a ripetere sempre le stesse parole ridondanti.
A questo spogliatoio manca un vero capitano, riconosciuto da tutto il gruppo come tale. Mauro Icardi è un ottimo attaccante, anche se nelle giornate storte si eclissa. Ma indossare la fascia non lo rende un capitano. Chi tifa Inter da anni sa cosa significa. Sa chi ha indossato questa fascia incarnando tutti i valori dell’Inter. Sa quanto questi venisse rispettato dentro e fuori dallo spogliatoio. Si può dire la stessa cosa di Mauro? Tutti i compagni lo legittimano, lo ascoltano (a detta dell'argentino, non tutti), ne riconoscono l’autorità (solo ieri i vaffa di Candreva)? Sembra un dettaglio, ma nell’equilibrio di un gruppo così eterogeneo conta tantissimo, soprattutto quando la situazione volge al peggio. A questa Inter non mancano solo leader che si prendono la responsabilità di richiamare tutti all’ordine ottenendo pronta risposta. Manca anche una figura che nella sacralità dello spogliatoio si faccia carico di tutte le responsabilità e guidi fuori dalla tempesta i compagni meno forti psicologicamente, sia dentro che fuori dal campo. La colpa non è di Icardi, ma di chi lo ha scelto come capitano.
E il discorso va inevitabilmente alla società. Vero, è l’ennesimo periodo di transizione, c’è una nuova proprietà che sta cercando di entrare nei meccanismi del calcio italiano e intanto, dopo aver infilato nel terreno i primi paletti, sta lavorando sul fronte dirigenziale. L’ingaggio di Walter Sabatini è una buona mossa, è un fine intenditore di calcio e sa muoversi nei meandri paludosi del mercato. La trattativa avanzata con Lele Oriali è acqua fresca soprattutto per i tifosi, che finalmente ritroveranno una figura societaria rassicurante, degna di fiducia. Però ad oggi è palese la distanza tra Nanchino e Milano, al di là di quella geografica. Al di là delle apparenze, sembra chiaro come la mano destra non sappia cosa stia facendo quella sinistra. E la mano debole, che oggi ha sede in Italia, ha palesato enormi limiti nella gestione di questo profondo cambiamento.
Nessuno della triade operante ad Appiano Gentile (Ausiliogardinizanetti) ha trovato una soluzione alla depauperazione dei colori nerazzurri in atto da due mesi. Vuoi perché da Nanchino non sanno mai che messaggi potrebbero giungere, vuoi perché il proprio parere non sempre viene considerato dalla proprietà, vuoi perché i calciatori non ne riconoscono la sufficiente autorità per raddrizzare la schiena al solo passaggio. Ed è così che tra un attacco mediatico del singolo, un comunicato aziendale I(sbugiardato pochi giorni dopo dall’esonero di Pioli) e un ritiro punitivo con pomeriggio premio annesso si è arrivati a una situazione apatica, in cui la tendenza è lo scaricabarili, in cui chi opera in Italia, tra campo e dirigenza, è avvolto dalla passività in attesa di sentenze dalla Cina. È una fase di transizione, giusto sottolinearlo, e presto ogni pezzo del puzzle andrà al suo posto. Però pretendere che i risultati arrivino in un contesto del genere sa di presa per i fondelli.
La storia si ripete ormai da anni, significa che a prescindere dagli attori è lo schema che non funziona. Serve pertanto una rivoluzione culturale e magari è già in atto, per quanto gli occhi, masochisti, vadano sempre a puntare lo squallore del campo. Questa rivoluzione però deve prevedere anche l’affidarsi a una figura forte agli occhi dei calciatori, chiunque essi siano nella prossima stagione. Un allenatore che non rischi di perdere credibilità agli occhi del gruppo. Sbagliare scelta oggi sarebbe autolesionismo puro. Con Oriali e Sabatini al suo fianco, il nuovo tecnico saprà di poter contare su una dirigenza dalla forte personalità e di riconosciuta esperienza. Ma se si trattasse di una plateale seconda scelta, si commetterebbe l’ennesimo errore a monte. Con un finale già scritto.
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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