Troppi pensieri e molto confusi. Mi sento così in questo periodo, quando rifletto sull'Inter. La fede nerazzurra non si discute, è giusto avere sempre fiducia che le cose possano cambiare anche se oggi non esistono motivi per essere ottimisti. Il vero guaio è proprio questo: prima della partita di Napoli c'è stata la strepitosa mezz'ora contro la Fiorentina. Prima del crollo in Israele il pareggio last minute nel derby. Dopo il k.o. di Genova l'arrivo di un allenatore affidabile e serio, con tutte le qualità necessarie per riportare l'ordine a un ambiente sconclusionato. In questo preciso istante, non ho un vero motivo per avere fiducia in un cambio di rotta. Potrei pensare a gennaio, al mercato, ma so già che di fenomeni non ne arriveranno. Al massimo partirà qualcuno, che è già di per sé una consolazione. Non resta che avere fede nella maglia, come se fossimo in ambito religioso, senza prove o certezze che quanto auspichiamo possa davvero accadere.
Sono consapevole che non è facile, lo è molto di più lasciarsi andare alla rassegnazione, almeno pensando a questa stagione finora disastrata per quanto iniziata con i migliori auspici. Leggo le mail che ci arrivano, e ce ne sono di aspramente critiche. E per la prima volta non le biasimo, non saprei cosa rispondere per alleggerire la tensione. 'L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare'. Magari non tutto, ma molto, perché francamente pensare di costruire un palazzo che regga partendo da fondamenta di cartongesso è pura follia. Il progetto sulla carta magari è degno di apprezzamento, ma il materiale conta, non se ne esce. E il materiale che va in campo, al momento, è di cartongesso. Incapace di reggere il peso delle aspettative e delle pressioni.
Non scopro l'acqua calda quando affermo che la rosa in mano oggi al volenteroso (e forse troppo ottimista) Pioli non sia all'altezza della maglia che rappresenta. Non faccio di tutta l'erba un fascio, ci mancherebbe. Ma non ritengo giuste neanche le eccezioni, visto che persino i più affidabili in questa fase storica si lasciano trasportare dalla corrente maligna che ha portato l'Inter a perdere 10 partite su 20 in questa stagione. Ruolino di marcia imbarazzante. Prescindo dagli investimenti effettuati in estate dalla nuova proprietà, alla quale concederò ancora a lungo il beneficio del dubbio perché entrata in un ambiente del tutto nuovo e troppo fiduciosa in chi finora l'ha tradita. Mi concentro su quanto sta avvenendo dentro le mura di Appiano Gentile e poi sui rettangoli di gioco 'ufficiali'. Non esiste assistere a certi spettacoli, a prescindere dalla maglia che indossi. Questa è solo un'aggravante. L'atteggiamento da oratorio del sabato pomeriggio che fior fior di professionisti stanno palesando quando chiamati in causa lascia esterrefatti. I primi 5 minuti contro il Napoli sono la cartina tornasole del valore di questa squadra: allo sbando, senza personalità, senza equilibrio psichico e tattico, senza amor proprio, che è l'aspetto peggiore. Fosse un caso isolato lo accetterei come incidente di percorso. Ma qui siamo nell'ordine della reiteratezza (9 gol su 31 subiti nei primi 10 minuti di gioco: assurdo).
Pioli ha fatto scelte sbagliate nella ripresa contro la Fiorentina e sopratutto a Napoli, fidandosi troppo delle capacità e della professionalità dei suoi giocatori. Splendidi in allenamento, ma incapaci, evidentemente, di assicurare quella compattezza fondamentale contro qualsiasi avversario, figuriamoci al San Paolo. Fidarsi è una colpa, ma i veri responsabili sono quelli che scendono in campo, non certo degli sbarbatelli sprovveduti senza esperienza a certi livelli. La loro maggiore colpa è pensare solo al proprio orticello, specchiandosi nelle loro qualità e ignorando che al loro fianco esistono anche dei compagni. Tradotto: non giocano da squadra. Sposo le parole di Moratti, che ne ha viste di cotte e di crude: "Un conto è avere giocatori importanti, un conto è fare una squadra". I giocatori importanti ci sono, presi singolarmente alzi la mano chi crede che siano inferiori a quelli di tutte le squadre che precedono l'Inter in classifica. Ma la Playstation è un'alra cosa, servono lavoro, continuità, magari i calciatori giusti (a mio parere la rosa è incompleta in certi ruoli, dove i doppioni abbondano) e, soprattutto, stabilità societaria.
Mi aggancio in tal senso alle parole di Frank de Boer, anche lui colpevole di valutazioni errate e di troppa fiducia in chi non la meritava: "Ci sono i proprietari cinesi, un presidente indonesiano e i dirigenti italiani. In teoria tutti hanno il controllo, ma nessuno ha veramente il potere. Loro vorrebbero molto, ma prima bisognerebbe vedere com'è l'organizzazione interna". Chiedo nuovamente di alzare la mano a chi pensa che queste frasi siano confutabili. L'olandese stesso è stato sia beneficiario sia vittima del caos societario vissuto all'Inter negli ultimi mesi, a cui, per fortuna, la proprietà sembra stia ponendo rimedio anche se a piccoli passi. Il latte però è ormai versato ed è inutile rimurginare. Serve soprattutto trovare il modo di arrivare alla prossima stagione, quando il quadro societario sarà più chiaro e, spero, logico, senza troppe ossa rotte. E il richiamo va a chi, dopo gennaio, continuerà a vestire questa maglia. Quanto svolto finora è sotto i limiti dell'accettabile, non deve essere il club né l'allenatore a dare la svolta. Devono essere i calciatori, sperando che abbiano ancora un senso di responsabilità, a fare quadrato e dare un senso a questa stagione. Sempre che ne abbiano le capacità, si intende, perché di bravi giocatori in giro ce ne sono, ma sono gli uomini che fanno la differenza in campo.
Guardate il Chelsea di Antonio Conte, otto vittorie consecutive in Premier League dopo la pessima figura contro l'Arsenal. L'allenatore è fantastico, ma se i suoi non hanno orecchie per sentire c'è poco da caricarli. La prestazione di Manchester è stata da uomini veri, bravi a reagire a una situazione di difficoltà stringendo i denti e usando ogni arma in loro possesso, contro un avversario sulla carta superiore dal punto di vista qualitativo. Ma senza, evidentemente, la personalità necessaria, come è emerso dallo sclero finale di Aguero e Fernandinho. Pensate che l'Inter avrebbe saputo reagire come i Blues? Lo ha fatto solo una volta, contro la Juventus (altre rimonte non sono avvenute contro avversari superiori), ma oggi più che mai ritengo quell'episodio casuale, per quanto godibile. Ho cercato conferme nel tempo, non ne ho trovate. E siccome a gennaio non si può ribaltare completamente una squadra, devo tornare a fidarmi di chi indossa la maglia nerazzurra, per capire se ha le capacità e le qualità umane per farlo. C'è ancora qualche mese di tempo per dimostrarlo, è una questione di rispetto verso chi ti paga profumatamente e verso i tifosi che, indomiti, continuano a credere in una svolta, in modo quasi religioso.
Sono stanco di banali dichiarazioni di intenti, di buona volontà, di sfida. Voglio i risultati, voglio le prestazioni, voglio il carattere, la personalità, il rispetto. Voglio una squadra, non undici calciatori con la stessa maglia. Una maglia che indossarla è un privilegio, non il contrario. In altri ambienti di lavoro questo rendimento porterebbe dritti al TFR. E magari anche all'Inter, prima o poi, andrà a finire così.
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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