Martedì scorso ho avuto la soddisfazione di assistere dal vivo alla seconda vittoria consecutiva dell'Inter, a Marassi: lo stadio genovese evoca sempre un grande fascino, il più "inglese" degli stadi italiani è da sempre uno dei miei preferiti, è un piacere assistere agli incontri, le tribune sono vicine al campo, si sente il calore del pubblico, l'atmosfera è speciale, la struttura è originale. Ma basta recarsi nel "dietro le quinte", ovvero nelle sale interne e scendere le scale, per ricordarsi subito che questo impianto risale al 1911: ambienti stretti, scale sporche, un solo bagno per la sala stampa (che nell'occasione era anche fuori uso). Lungi da me ora analizzare i difetti del Ferraris, anzi, di stadi del genere in Italia ce ne sono tanti, ma voglio prendere spunto dall'ultima trasferta dell'Inter per tornare su un tema, ahinoi, molto delicato di cui si discute tanto nel nostro Paese: quello relativo alla fatiscenza degli impianti. A mio avviso uno dei motivi (ma non l'unico) per cui l'Italia ha perso l'organizzazione dei prossimi Europei.

Prendo il Ferraris a emblema della mia analisi per la doppia valenza del problema: esterno meraviglioso, interno fatiscente. Quasi tutti gli stadi italiani sono così, architettonicamente ce ne sono di realmente belli, basti citare il nostro San Siro, l'Olimpico, il Friuli, Marassi appunto, e così via. Ma quasi tutti a livello di organizzazione, offerta al pubblico e pulizia, distanti anni luce dai recenti trend europei. Gli impianti sono vecchi, pensati solo per offrire spettacoli di calcio secondo una logica ormai caduta in disuso visto cosa è diventato il calcio a livello di immagine e marketing, inadatti alle necessità del consumatore moderno. Ed è un peccato pensando invece cosa potrebbe ricavare, a livello di introiti, una società di calcio da un impianto all'altezza: oltre alla vendita di tagliandi e servizio bar, ci potrebbero essere negozi, ristoranti, sale giochi, musei, insomma vivere una giornata immersi nella propria passione. Sono stato all'Allianz Arena di Monaco e mi è sembrato di essere in un teatro moderno, altro che stadio.

Il classico discorso degli stadi di proprietà, direte voi. Sì ma il problema non è solo la proprietà: certo avere uno stadio tutto per sé vorrebbe dire curarlo meglio (come avere una casa di proprietà anziché in affitto, ricordando che la quasii totalità degli stadi italiani sono comunali), intascare il 100% dei ricavi, costruirlo come lo si preferisce (si veda l'esempio Juventus). Ma non è solo questo il punto. Qualche giorno fa mi sono trovato a invervistare Roberto Ghiretti, presidente dell'omonima società di consulenza e marketing sportivo, che sull'argomento mi ha spiegato: "la vera domanda che ci dovremmo porre è cosa riusciamo a fare con le strutture che abbiamo a disposizione già oggi. Riteniamo che un migliore approccio progettuale possa portare a migliori risultati sin da subito".

Una risposta su cui riflettere: non è necessario abbattere stadi cui il tifoso è affezionato, belli da vedere, magari con un'ottima visuale (non tutti, sia chiaro) per costruirne uno da zero con spese pazzesche. In alcuni casi sarebbe sufficiente ritoccare quelli attuali contenendo le spese e ammodernandoli a dovere. Si può già inserire un negozio o un bar in alcuni stadi, si possono organizzare eventi in altri, si possono rendere gli interni più accoglienti, si può eliminare l'inutile pista di atletica intorno al campo e così via. Stadi di proprietà? Basta acquistare gli impianti dal Comune ed ecco che diventano di proprietà. Anziché nasconderci dietro la scusa dello stadio vecchio e comunale, comninciamo a dimostrare che possiamo mantenere meglio quelli attuali, che sappiamo prendercene cura senza ridurli in stati pietosi, che possiamo effettuare interventi di restauro e miglioramento già da subito.

Perché, per tornare alla metafora precedente, se teniamo sporca e antiquata la casa in affitto, sapremmo fare meglio con quella nuova tutta nostra?...

Sezione: Editoriale / Data: Gio 15 dicembre 2011 alle 00:01
Autore: Domenico Fabbricini
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