Quarantenne di successo. E che successo. Josep Guardiola i Sala, o più semplicemente Pep Guardiola, è uno che in carriera ha vinto tutto, prima da giocatore, poi da allenatore. E sempre con la stessa camiseta attaccata sulla pelle, quella blaugrana. Il Barcellona ce l'ha marchiato a fuoco su ogni pezzettino del suo corpo: Pep sprizza orgoglio catalano anche a una prima occhiata superficiale. Volto fiero, barba incolta, sguardo sicuro: Guardiola è uno che ha imparato subito a vincere e non vuole imparare a perdere.

Con il suo Barça – Més que un club – il buon Pep ha trionfato in ogni dove: 9 Liga (sei da giocatore più tre da tecnico), 3 coppe del Re (due più una), 7 supercoppe di Spagna (quattro più tre), 3 Champions League (una più due), 4 supercoppe europee (due più due), una Coppa delle Coppe (da giocatore) e un Mondiale per club (da allenatore). Insomma, un palmares davvero incredibile. E' al Barcellona dal lontano 1984, fin dalla cantera. Sono passati la bellezza di 27 anni e solo per 5 di questi è stato lontano dalla Catalogna, tra Italia (fugaci apparizioni a Brescia e Roma), paesi arabi e Messico. 

Adesso, forse, è venuto il momento di dirsi addio. Lo ha fatto capire lui stesso, dichiarando che “non passa giorno in cui non pensi di andarmene. I contratti lunghi mi danno l'angoscia e voglio essere libero di decidere il mio futuro”. Sarà per questo che finora, da tecnico, ha sempre rinnovato annualmente. Sarà per questo che è amato all'inverosimile dal suo pubblico e non solo. Pep dice quello che pensa e, a dispetto delle vittorie, resta umile nell'accezione buona del termine. Mai sopra le righe, Guardiola appare l'opposto del suo attuale rivale intestino, José Mourinho. L'uno diametralmente opposto all'altro, tranne che in un fatto, quello più importante: entrambi vincono e fanno vincere. Entrambi sono, a loro modo, dei leader. Entrambi, evidentemente, non intendono trascorrere tutta la carriera in Ferguson-style.

Sarà anche per questo che, oltre ad essere amato dai propri supporter, Guardiola ha suscitato nell'ambiente Inter, e in particolare in Massimo Moratti, una certa attrazione sportiva. Le sue parole dell'altro giorno hanno scatenato immediatamente l'accostamento banale Inter-Guardiola. Ma, al di là di tutti gli aspetti tecnico-tattici che questa simbiosi potrebbe comportare, c'è di mezzo anche tanto altro, a cominciare dalla voglia del catalano di cimentarsi subito in una nuova, stressante avventura. Da affrontare sulla panchina di una big che è tale solo per le vittorie e non certo per il peso politico o mediatico (almeno non in accezione positiva, specie negli ultimi 20 anni). Più di un dubbio ci assale nel pensare a Guardiola che risponde alle stucchevoli conferenze stampa su rigori non dati, espulsioni esagerate, ragioni di 'Palazzo'. Pep ha giocato qui in Italia, la conosce, è uno sveglio e sa cosa lo aspetterebbe.

D'altro canto, si potrebbe eccepire, quella nerazzurra sarebbe una sfida niente male per uno che, nonostante la lunga sequela di titoli, da taluni viene ancora tacciato come allenatore 'di nicchia', in grado di dare il meglio solo nel suo habitat naturale. E qui entrerebbe in gioco un altro aspetto catalano, l'orgoglio: “Vuoi vedere che vinco anche all'Inter e li azzittisco tutti?”.

Chissà. In fondo, potrebbe sbocciare un amore lungo giusto un paio di stagioni, proprio in stile-Mou. Un amore infedele, che ben si sposerebbe con l'allergia ai lunghi contratti.
Quelli che danno angoscia, certo, ma solo se non vinci nulla.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 10 ottobre 2011 alle 00:01
Autore: Alessandro Cavasinni
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